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     1945 La ricostruzione


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L’ATTIVITÀ DELL’OSE DOPO LA GUERRA

 

 

Cosa è stato dei bambini salvati dall’OSE, dopo il conflitto? Come ne è stata organizzata la cura? Affidati a delle balie, abbandonati o aggrappati a brandelli di famiglia, abbandonano i loro nascondigli e aspettano i loro genitori. Ben presto, le organizzazioni ebraiche che ne hanno garantito la salvezza dovranno arrendersi all’evidenza: i genitori non torneranno.

 

A soli sei mesi dal passaggio alla clandestinità completa, l’ufficio dell’OSE a Chambéry, l’ultimo ad aver chiuso i battenti dopo l’arresto dei suoi membri, riapre nell’esultanza generale per la Liberazione e gli incontri. Germaine Masour e il suo gruppo ritrovano Julien e Vivette Samuel a Aix-les-bains dove si erano rifugiati dopo l’arresto di Julien[1], mentre i più bei palazzi della città fumavano ancora, incendiati dai tedeschi durante la loro ritirata. Viene deciso che tutta l’équipe dirigente dell’OSE si ritroverà a Lione, capitale della Resistenza, dove già si trovava Georges Garel.

 

 

La carta di Lione: settembre 1944

 

Si riuniscono tutti quanti, quelli di Parigi, della provincia e di Ginevra, nell’appartamento di uno dei sopravvissuti, René Borel, non ebreo, dell’ufficio di Chambéry, per ridefinire il cammino e rimettere in funzione la struttura secondo due linee d’intervento. La prima, derivante dalle necessità del conflitto, è il servizio dell’infanzia, diretto da Robert Job aiutato da Ernest Jablonsky (Jouhy), mentre il servizio medico-sociale sarà sotto la responsabilità di Julien Samuel, assistito da Andrée Salomon.

 

Il Comitato direttivo doveva istallarsi a Parigi con a capo Georges Garel, mentre un piccolo gruppo sarebbe rimasto a Lione. Bisogna anche ripristinare i contatti con l’ufficio di Parigi, nel quale domina la personalità del dottor Eugène Minkowski, e preparare la fusione delle due zone.

 

Nel dopoguerra, l’OSE raccoglierà la sfida di tenere unito il gruppo malgrado le tensioni interne, come ad esempio la suddivisione dei compiti all’interno dell’Unione-OSE che mantiene un ufficio a Parigi pur avendo la sua sede centrale a Ginevra.

 

La direzione centrale dell’OSE-France, con residenza a Parigi dal 1944 in rue Spontini, riflette la dualità dei suoi dirigenti: russi non-praticanti e strasburghesi religiosi, laici e tradizionalisti, comunisti e non comunisti. Le due correnti fondatrici, la vecchia guardia russo-polacca di tendenza liberale o rivoluzionaria e “il gruppo di Strasburgo” si conservano dopo la Liberazione come le due teste di un solo corpo, rinsaldate dall’esperienza della guerra e dai rischi assunti per salvare i bambini, senza rivalità particolari ma con la consapevolezza di aver apportato ciascuno la propria esperienza e la propria concezione del Giudaismo.

 

Due personalità di primissimo piano si spartiscono il settore pedagogico. Bô Cohn, il “curato” del gruppo, con la sua figura alta e goffa nel grande mantello nero[2] e i suoi taccuini in cui annota ogni cosa, ne è il responsabile. Ernest Jablonsky-Jouhy, il militante progressista, secondo un’espressione dell’epoca, seguace convinto della nuova pedagogia che aveva sperimentato al castello di La Guette prima della guerra, è l’uomo concreto. Tutto sembrava fatto per dividerli, la loro origine, la loro formazione. Ognuno avrà il proprio posto nell’OSE.

Gli strasburghesi hanno imparato molto dai russi, più avvezzi al lavoro sociale, ma d’altra parte propongono un giudaismo più rigorista e un senso dell’organizzazione più meticoloso.

 

 

La priorità: ritrovare e raggruppare i bambini

 

Occorre prima di tutto raggruppare i bambini dispersi lungo il circuito Garel in Francia e restituire loro l’identità. Ma bisogna anche accogliere i bambini che avevano passato clandestinamente la frontiera e di cui la Svizzera non vede l’ora di sbarazzarsi e, nel contempo, cercare di ritrovarne i genitori.

 

Questo compito viene affidato a Germaine Masour e al suo gruppo rimasto a Lione, prima di trasferirsi a Parigi per coordinare il servizio delle riunioni familiari di cui si occuperà fino alla pensione.

 

Grazie a numerosi schedari, il più importante dei quali era stato inviato clandestinamente a Ginevra, a liste in codice e altri documenti nascosti in vari luoghi, Annelise Eisenstadt, ex internata a Gurs, ha l’arduo compito di ricostituire dei fascicoli individuali per ogni bambino contenenti il maggior numero possibile di informazioni su ciascuno di loro. Disporrà ben presto di 5700 schede includenti il nome falso ed il vero e il luogo dove si trova il bambino. Per di più, tutti i bambini entrati in Svizzera come rifugiati (non solo quelli dell’OSE), ossia 2097, sono stati schedati senza distinzione di nazionalità. Queste schede standard si sono rivelate di grande utilità dopo la guerra per ritrovare le loro tracce e metterli in relazione con le loro famiglie vicine o lontane.       

 

Al contempo, bisognava filtrare le informazioni che confluivano da ogni parte in seguito alla liberazione dei campi in Germania e che passavano attraverso le organizzazioni internazionali. Un’ex educatrice di origine polacca, Rachel Minc, che parlava e scriveva perfettamente lo yiddish, divenne insostituibile nel ritrovare le famiglie. Fu ribattezzata la “Sherlock Holmes” dell’OSE e infatti falliva raramente. Fu lei a compiere il miracolo quando si trattò di accogliere i 467 giovani di Buchenwald nel 1945.

 

È impossibile calcolare la vastità del compito con il quale dovettero misurarsi le opere ebraiche che avevano contribuito al salvataggio dei bambini. Bisogna rifare il percorso al contrario, subito dopo la liberazione del territorio, in un paese distrutto dalla guerra dove i treni non funzionano e i ponti sono per la maggior parte interrotti. Colpisce il fatto le case create inizialmente aprono prima della fine della guerra come se recuperare i bambini fosse la priorità assoluta, lo sbocco naturale del salvataggio e le opere ebraiche presagissero le difficoltà amministrative e giuridiche che le attendevano. Inoltre, la maggior parte dei funzionari delle case per i bambini, per lo meno nell’immediato dopoguerra, si trovavano nel circuito Garel.

 

La casa di Tolosa per l’OPEJ [Opera di protezione per bambini ebrei] che si occupa di far uscire rapidamente i bambini dai conventi della regione, Moissac e il centro degli EIF sono pronti ad accogliere ognuno un centinaio di bambini nel settembre 1944; la casa di Villard-de-Lans, dell’MNCR [Movimento nazionale contro il razzismo], di ideologia comunista, entra in funzione all’inizio di dicembre del ‘44.

 

L’OSE è l’organizzazione più importante, la meglio strutturata, lavora a un altro livello; nasconde o soccorre all’incirca duemila bambini.

 

Le vecchie case di guerra, quelle di Montintin e di le Masgelier vengono requisite dai prefetti che le avevano fatte chiudere dopo la dispersione dei bambini. Sono pronte nel novembre 1944 e integrate da nuove a seconda dei bisogni e delle possibilità: si tratta di Poulouzat e Saint-Paul-en-Chablais. Fanno da centri di accoglienza e smistamento in attesa di una attribuzione definitiva[3]. Il ritmo di apertura e il numero di queste case mostrano la vastità dell’impresa: 13 case poi divenute 25 tra settembre 1944 e la fine del 1945 aperte in provincia e nella regione di Parigi grazie a Marc Schiffman. Ciononostante, l’OSE riconosce, nel giugno del ‘45, di aver registrato ancora 1100 bambini dispersi presso famiglie non ebree.

 

Il periodo della Liberazione fu il tempo delle possibilità, adulti e bambini sono trasportati dallo stesso entusiasmo e dalla stessa voglia di rivivere. Fu un periodo breve ma pieno di audacia. Così, due ragazze dell’OSE di non più di ventidue anni decidono di aprire una casa ad Oullins vicino a Lione per una trentina di bambini che erano in loro custodia, scatenando le ire del direttore che le tratta da irresponsabili. Si tratta di Margot, futura moglie di Bô Cohn, e della sua compagna di avventure e disavventure, Gaby Wolff, la “Niny” dei bambini di Buchenwald. Originarie dello stesso paesino in Alsazia, nulla le avrebbe indotte al lavoro sociale se non la guerra e gli avvenimenti nel circuito Garel.

 

Margot ricorda perfettamente la liberazione della città: era il 2 settembre 1944, alcuni giorni prima di Roshashanà (il Capodanno ebraico), i ponti erano stati fatti saltare. Mi ero interessata affinché tutti i bambini del mio settore potessero passare le feste presso delle famiglie ebree. Non avendo cuore di mandarli via, cerca una casa di cui paga lei stessa il primo affitto. Questa casa viene ben presto rimpiazzata da quella dei Samuel che fondano l’Hirondelle [la Rondine] qualche metro più in là.

 

In particolare, il Limousin, che è stato un luogo di salvataggio strategico sia per la collocazione geografica che per la mobilitazione di cui si è già parlato, diventa nell’immediato dopoguerra una piattaforma girevole per il recupero dei bambini che arrivano a piccoli gruppi. È Edmond Blum, direttore regionale dell’OSE, a dare inizio ai lavori subito dopo la liberazione del territorio nel 1944. Quindi Félix Goldsmith, che aveva lavorato da solo nell’Indre per salvare gli ebrei soprattutto dal campo di Douadic in collaborazione con il rabbino Deutsch, si mette al servizio dell’OSE, al suo ritorno dalla Svizzera nel ’45 per dirigere l’ufficio di Limoges prima di diventare direttore della casa per i bambini a Versailles. Viene aiutato da una serie di assistenti sociali come Laure Muller e Friedel Levy che perlustrano il dipartimento in bicicletta cercando le tracce dei bambini, recuperandoli dalle fattorie, dalle congregazioni religiose, dagli internati e persino da alcuni campi. Félix Goldsmith, per esempio, è intervenuto a nome dell’OSE nel campo di La Chauvinerie, vicino a Poitiers, dove erano internati, insieme ai prigionieri tedeschi, una quarantina di ebrei tedeschi tra i quali c’erano dei bambini e di cui alcuni erano stati rimpatriati da Auschwitz (nel 1945 il campo conta 3695 internati in condizioni spaventose derivanti dalla disonestà dei guardiani e del capo del campo).

 

Anche a Limoges, fuori dalla città, è stata aperta nel 1945, dall’associazione «dell’assistenza medica ai rifugiati dell’Europa centrale», una casa sovvenzionata direttamente dal Joint e controllata dall’OSE. Si tratta di un nido per bambini dai 2 ai 4 anni che l’OSE non poteva tenere nelle proprie case dove ogni gruppo era legato a una sorvegliante esperta del metodo montessori[4]. L’OSE stessa apre una casa per i più piccoli a Meudon con quel metodo, diretta da due giovani internate volontarie di Rivesaltes, Jacqueline Levy-Geneste e Simone Weill-Lipman.    

 

Recuperare i 1900 bambini del circuito Garel[5], nascosti presso singole famiglie o istituzioni costituisce l’obbiettivo prioritario. Ma le difficoltà, in questi tempi di penuria, sono innumerevoli. Come annotato in un bollettino dell’Unione-OSE, manca tutto: letti, stoviglie, biancheria, vestiti[6]. In una delle scuole i vestiti sono distribuiti per turni affinché i bambini possano andare a scuola quattro volte a settimana. I bambini del Masgelier mancano di scarpe[7]. Inoltre, visto che sussistono le restrizioni, le tessere annonarie sono indispensabili: ora, i bambini arrivano a gruppi, senza documenti d’identità e sotto falso nome. Infine la riparazione delle case, spesso danneggiate o abbandonate, necessita di materiali e manodopera difficili a trovarsi, se si eccettua la manodopera dei prigionieri di guerra tedeschi.

 

I bambini stanno in classi di fortuna che restano in funzione tutta l’estate per recuperare il tempo perduto, corsi di ogni livello per ogni età, sia per i grandi che vogliono prendere la maturità, a Poulouzat, che per i più piccoli.

 

Ecco cosa ci dice Marianne, una delle educatrici di le Masgelier: «Abbiamo cento bambini, 33 dei quali sono piccolissimi, gli altri vanno dagli 8 ai 14 anni. Abbiamo in tutto 3 educatori, 2 stagisti, una donna delle pulizie ed un’istruttrice di educazione fisica (…). La privilegiata della casa è la scuola (…) Abbiamo 3 classi molto piene, soprattutto quella dei corsi preparatorio ed elementare riuniti. Ogni alunno ha una cartella fatta di vecchia stoffa per materassi con tutto il materiale necessario, libri e quaderni. I nostri bambini hanno recuperato presto l’amore per la scuola e mostrano un desiderio abbastanza forte di imparare (…) » [8]. Alla fine del 1945, i bambini tornano con le loro educatrici nella regione di Parigi a Mesnil-le-Roi.

 

 

Cosa è stato delle case di guerra dopo il 1945?

 

Le Masgelier è messo a disposizione dell’Alyah des Jeunes, organo dell’Agenzia ebraica per l’emigrazione in Palestina. Il castello accoglie dei giovani in transito, senza patria, spesso di origine polacca, arrivati soprattutto dopo il pogrom di Kielce del 1946. La loro è una storia stupefacente. I nuovi ospiti del Masgelier parlano russo, poiché i loro genitori, avendo fatto l’errore di scegliere la nazionalità polacca, sono stati deportati in Siberia in occasione della spartizione della Polonia nel 1939 e separati dai figli che sono stati alloggiati in case russe. Quindi, i bambini hanno raggiunto da soli la Polonia e sono stai presi in carico da organizzazioni sioniste. Hanno un’età compresa tra i 3 e i 6 anni, ma dimostrano una maturità ed una disciplina che ne facilitano l’adattamento. I corsi si svolgono in ebraico secondo un programma stabilito dall’OSE in accordo con l’Alyah dei giovani.[9]

 

Montintin, invece, è stato affittato da un movimento giovanile pionieristico della sinistra sionista, il Dror. Ma la casa è male attrezzata ed ai bambini manca tutto. Fanny Loinger si occupa del guardaroba, ma spesso gli arrivi dal nuovo mondo non corrispondono ai bisogni dei bambini. Un rapporto del dottor Mendel sulle case di transito lancia un allarme sulla situazione sanitaria.

 

 

Dalla provincia alla regione di Parigi

 

Come si è visto, le prime case sono requisite dai prefetti o affittate a vecchi collaboratori che cercano di farsi dimenticare. Il centro della Borie vicino a Limoges[10], ad esempio, che accoglie in particolare ragazze in età post-scolare, è un castello completamente ammobiliato per dei miliziani che non hanno avuto il tempo di abitarlo.

 

Molte si trovano nella regione di Lione. Quella di Collonges-au-Mont-d’Or, nei dintorni di Lione, viene affittata ad un vecchio collaboratore che la cede al completo con l’intero mobilio di gran lusso.

 

Altrove avviene il contrario: un elemosiniere ebreo dell’esercito americano si da da  fare per alloggiare nel castello di Méhoncourt nella Sarthe una trentina di bambini ebrei[11] abbandonati. L’OSE lo sostituisce e vi raduna 72 bambini dispersi nel dipartimento dai vari nuclei. Il castello è appartenuto ad un notabile ebreo della città, peraltro presidente dell’UGIF del Mans. Quindi, vi si stabilisce l’esercito tedesco che coesisteva con la famiglia confinata in una stanza. Uno dei bambini intervistati racconta che il castello contiene molte tracce del passaggio dei tedeschi: graffiti e disegni sulle pareti e soprattutto una gran quantità di bossoli e di armi disseminati nel parco.

 

Il castello di Ferrières, nel Seine et Marne viene momentaneamente concesso in prestito dai Rothschild. I bambini scopriranno nel sottosuolo la cantina dei vini e se ne serviranno abbondantemente per fare scambi o giocarvi con i proiettili inesplosi che si trovavano ancora nel parco.

 

Le prime case, tutte situate in luoghi spesso isolati, lontano da trasporti e scuole, non sono più adatte. Bisogna raggruppare i bambini e trasferirli progressivamente nella regione di Parigi.

 

La diminuzione degli effettivi (nel 1946, i giovani tra i 14 e i 18 anni rappresentano il 41% dell’insieme), le esigenze del Joint (non provvedere a ragazzi oltre i diciotto anni o bambini aventi uno o due genitori) che forniscono il 60% dei finanziamenti necessari al mantenimento delle case, riducono del 25% il budget dell’OSE e determinano raggruppamenti e chiusure nel 1948. questo spiega l’emancipazione degli adolescenti, spesso già dai 17 anni se hanno un mestiere (ricordiamo che allora la maggiore età era di ventuno anni).[12] I primi anni la maggior parte dei giovani ha fretta di guadagnare dei soldi e distaccarsi dalla collettività. Ma questa emancipazione troppo rapida è spesso vista come un disinteressamento, se non addirittura un abbandono per il fatto che non è stata prevista nessuna struttura di transizione[13].

 

La maggior parte dei bambini è nella fascia di età 6-18 anni, ma l’OSE si è occupata dei più piccoli e dei più grandi. Per loro c’è il pensionato Pauline Godefroy al Vésinet e due innovazioni degne di nota: la casa degli studenti della rue Rollin a Parigi aperta alla fine del ‘45 per accogliere i più grandi tra ragazzi provenienti da Buchenwald; per i casi più difficili, inizia nel 1956 un esperimento originale, il pensionato della Voûte, appartamenti terapeutici, diretti da Hélène Weksler[14].

 

 

Gli orientamenti generali: il minimo OSE

 

Sono due i tipi di problema derivanti dall’ambivalenza dell’istituzione, la cui attività oltrepassa di molto il soccorso all’infanzia. Che ruolo può avere, attraverso il suo programma d’azione, nella ricostruzione di una comunità colpita fin nelle sue fondamenta? Come passare da una fase di assistenza e filantropia essenziale nel dopoguerra ad un contributo generale di solidarietà? Quali proporzioni mantenere tra azione medica e azione sociale? Cosa preferire nel sistema educativo delle case? Quale spazio riservare alla vita ebraica? Infine, basandosi sulle difficoltà incontrate, quali mezzi prescegliere per un migliore funzionamento delle case?

 

Le grandi linee non sono molto diverse da quelle delle altre opere. Si tratta di ritrovare i bambini nascosti, permetter loro di ricostituirsi attraverso il rafforzamento della loro identità ebraica, dare loro gli strumenti per trovare un posto nella società e selezionare un’élite intellettuale: un programma ambizioso.

 

Si basano su concetti semplici, anch’essi molto diffusi all’epoca. Le case sono solo un ripiego rispetto all’ambiente familiare che è la collocazione naturale del bambino e tale deve rimanere.

 

Nel 1946, il 39% dei bambini dell’OSE hanno un genitore, il padre (27%) o la madre (12%)[15]. La collettività, per il suo carattere artificiale, non prepara in modo adeguato alla vita quotidiana. L’OSE, come altre opere, crea un servizio speciale di orientamento professionale per i ragazzi che hanno terminato la scuola e non preme perché i giovani proseguano gli studi pur incoraggiando coloro che conseguono buoni risultati.

 

La differenza delle case dell’OSE sta nella ferma volontà di preservare l’individualità di ogni bambino[16]. Questa differenza fa parte integrante del carattere ebraico dell’educazione e deve rimanerne il filo conduttore. Di cosa si tratta esattamente? I testi parlano di “minimo OSE”, ossia dare ai bambini la coscienza di essere ebrei e poi lasciare loro la libertà di scelta. Questa consapevolezza di appartenenza al giudaismo passa sia per lo studio della lingua dei testi antichi, e quindi dell’ebraico, della storia, della cultura sia per l’istruzione religiosa. Ma non deve assolutamente intralciare l’integrazione nella collettività nazionale. Da questo derivano la grande ricchezza culturale nelle case e i metodi educativi inediti.

 

 

Le altre attività

 

Nel 1947, i primi tagli al budget impongono una riorganizzazione consistente in una riduzione drastica del numero dei collaboratori[17] e delle case. Inoltre il dipartimento per l’infanzia e quello medico-sociale diventano autonomi. L’originalità dell’OSE sta proprio in questa interazione.

 

Infatti l’aiuto all’infanzia prosegue con un’azione medico-sociale attraverso una rete di dispensari e centri sociali situati nella maggior parte delle città nelle quali si trovano dei rifugiati. Questa struttura si restringe gradualmente alle grandi città. Quindi solamente alla regione di Parigi e a Marsiglia.

 

L’OSE, associazione proclamata il 13 giugno del ’45 e riconosciuta di pubblica utilità da un decreto del 1951, possiede un centro medico con più specializzazioni, tra i quali un laboratorio di protesi, un giardino d’infanzia per madri sole, un servizio medico-pedagogico per bambini instabili, colonie sanitarie per bambini bisognosi e centri di accoglienza per le popolazioni in transito.

 

Nel 1946, nei dispensari si sono visti 20 000 bambini. Soggiorni di tre o quattro mesi presso delle famiglie in Danimarca vengono organizzati con l’intervento della Mutua Assistenza francese per “rimettere in sesto” i bambini bisognosi che vivono con le loro famiglie.[18]

 

L’altra particolarità dell’OSE è l’introduzione dell’educazione fisica e della ginnastica medica nelle sue case. Questa iniziativa d’avanguardia è realizzazione di un uomo, Georges Loinger, il cui operato risale alla guerra. Propone un piano di formazione di insegnanti educazione fisica nella scuola di Gournay e un club, Sport et Joie [Sport e Felicità] per rendere popolare quest’attività. Ancora una volta, furono le esigenze del budget a decretare la fine della sua iniziativa[19].

 

 

I nuovi orientamenti

 

L’inizio degli anni ’50 coincide con gravi problemi finanziari dovuti al ritiro prima del previsto del Joint e alla difficile attuazione del Fondo Sociale. Rimangono attive solo otto case che operano per fasce di età: Dravel per i bambini nati tra il 1932 e il 1940, Saint-Germain en Laye e il pensionato Pauline Godefroy del Vésinet, chiuso nel 1956, per i più grandi, Taverny per i più religiosi, Fontainebleau che dopo il 1955 sarà utilizzato solo come colonia di vacanze e soggiorno di riposo per persone anziane. Quelle della provincia sono state raggruppate ad Haguenau nel Basso-Reno e à Saint-Genis-Laval nel Rhône (questa casa è stata venduta nel 1979). La casa per le persone rigorosamente osservanti  di Versailles deve la sua sopravvivenza fino al 1962 all’azione di un gruppo di amici dell’OSE ancorati all’ebraismo tradizionale.

 

In questo periodo anche il lavoro dell’OSE si trasforma giacché gli orfani sono diventati una minoranza (37%). Nel giugno 1949, l’OSE ha ancora 12 case che ospitano 550 bambini vittime della guerra (di questi, 150 sono orfani di guerra). L’attenzione dell’organizzazione si concentra su altri bambini, considerati come “casi sociali”, che vengono soprattutto da Egitto e Nord-Africa con le loro famiglie e pongono problemi di nuovo genere. Ci stiamo avviando verso la messa in opera di un servizio sociale vero e proprio allestito da Vivette Samuel[20]. La sua esperienza con bambini vittime della guerra dimostra che un processo educativo degno di questo nome non deve solamente reinserirli nella vita normale, ma anche intraprendere un percorso di recupero dell’identità.

 

 

Per concludere

 

Il bilancio disilluso di J. Cohn alla conferenza nazionale del 1940 permette di comprendere le difficoltà: pensavamo che sarebbe stato facile formare tutti i bambini ai grandi ideali di giustizia ed umanità per dare loro un’educazione universale e completa di uomini e di ebrei. Cinque anni dopo, ci siamo scontrati con la realtà: non abbiamo cambiato il mondo, abbiamo gestito il quotidiano.

 

Vorrei ancora segnalare alcuni contrasti che, per quello che mettono in gioco, forniscono qualche elemento di risposta.

 

Il contrasto tra la generosità dei progetti, l’utopia messianica della costruzione di un uomo ebreo nuovo e la realtà più prosaica di un futuro poco roseo. Vi è, in questo immediato dopoguerra, l’illusione che tutto sia possibile, che queste case rigenereranno i bambini della Shoah, che i bambini sono come “carta assorbente, spugne che si impregneranno del progetto collettivo”.

 

Il contrasto tra le realizzazioni importanti se non addirittura insostituibili e i rimproveri, talvolta a cinquant’anni di distanza, di alcuni ex ospiti presso le case dei bambini secondo i quali non sempre si è saputo dare il giusto peso al loro malessere di figli di deportati. Molti evocano commossi il calore fraterno delle case dei bambini, i vantaggi della vita in comunità, la ricchezza culturale di cui hanno potuto approfittare, ma anche le frustrazioni e in particolare quella di non essere stati ascoltati o uditi, o entrambi.

 

Perché un tale scarto? Non è forse dovuto alla ricostruzione della memoria? A un regolamento di conti comune a qualsiasi relazione pedagogica, dato che non esiste figlio che non abbia nulla da rimproverare ai propri genitori? Ma, appunto, non ci sono genitori e niente può sostituirli.

 

Se si cerca di decriptare questo malessere, ci si accorge che esso non è per forza collegato alla casa dei bambini, ma al bisogno di liberarsi di una sofferenza che non riuscivano ad esprimere allora. La casa dei bambini ha, anzi, permesso loro di appartenere ad un gruppo, una collettività di bambini che avevano subito lo stesso destino. Questa fratellanza implicita si è rivelato il fattore più positivo della loro costituzione e molti di quelli che sono stati accolti da zii e zie e hanno avuto esperienze disastrose, hanno successivamente rimpianto la collettività  soprattutto per questa ragione.

 

Gli educatori parlano di bambini inibiti, chiusi, barricati dietro un’apparenza di normalità  che non lasciava trasparire nulla. I bambini, che oggi sono nonni, ricordano il loro bisogno di essere come gli altri, ma anche il loro smarrimento di fronte ad adulti che ripetevano loro che erano fortunati, vivi e non avevano diritto di lamentarsi.

 

All’epoca, a torto o a ragione, non bisognava parlare dei genitori scomparsi, della separazione, della loro vita durante la guerra, dei campi; bisognava dimenticare, guardare risolutamente all’avvenire. A che pro riaprire le ferite quando una delle ragioni per cui esistevano queste case era cercare di farle cicatrizzare?

 

Il tempo del silenzio ha lasciato il posto alla parola. Pare sia necessaria una generazione biblica, quarant’anni, per accettare la morte dei propri cari: quarant’anni, la metà di una vita.

 

 

Katy Hazan, «L’azione dell’OSE dopo la guerra» in Enfances juives Limousin-Dordogne-Berry, terres de rifuge 1939-1945. Diretto da P.Plas e M C Kiener, edito da Lucien Souny, 2006.



 

[1] Julien Samuel è scampato miracolosamente alla deportazione saltando con Jacques Salon dal treno che li  portava alla prigione di Montluc a Drancy.

 

[2] Secondo la moglie, è stato proprio quest’aspetto da curato ad averlo salvato durante i controlli.

[3] Alcune come La Chaumière, vicino a Saint-Paul-en-Chablais sopra Evian, o Saint-Quay-Portrieux nelle Côtes-du-Nord diventano colonie di vacanze; mentre Masgelier nella Creuse, riaperto nel settembre del 1944 diventa un centro medico-sociale, un sanatorio per bambini fragili, approvato dal Ministero della Sanità e della Previdenza sociale, ed è dotato di 120 letti  nel 1949. Viene integrato da una colonia salutare di vacanze nel Mans.

 

[4] Archivi Yivo

[5] Stando al verbale della riunione del 21 settembre1944, il circuito A includeva all’incirca 1100 bambini, il circuito B 800. Questa cifra varia perché se i genitori venivano a prendere i bambini, ne arrivavano continuamente altri abbandonati.

 

[6] Archivi AIU, estratti dal Bollettino d’informazione dell’Unione-OSE di aprile-giugno1945 sull?attività dell’OSE in Francia.

 

[7] La lista dei bambini del Masgelier che furono trasferiti nel novembre 1945 ai Glycines segnala i numeri dal 28 al 43.

 

[8] Bollettino OSE, giugno 1945

 

[9] Si tratta di 174 bambini e 168 bambine per i quali l’azione dell’OSE  si svolse su due livelli: l’alloggiamento e sorveglianza medica.  

[10] Di fatto sarà la S.ra Nathanson, capo degli educatori, ad assumerne la direzione dopo Robert Lévy. Da Bollettino OSE, giugno 1945.

 

[11] L’estratto del registro delle deliberazioni del consiglio municipale del 31 ottobre 1945 mostra che dopo la  liberazione del Mans, l’esercito americano ha riunito tutti i bambini ebrei della regione in una colonia situata nel castello di Méhoncourt; indica anche che la somma anticipata dall’esercito americano, 133 500 franchi, sono state rimborsate dalla città.

  

[12]Le emancipazioni avvengono al ritmo delle restrizioni del budget. La prima,  quella del 1947,  porta all’emancipazione di 166 adolescenti. In seguito l’OSE  farà marcia indietro.

  

[13] Fatta eccezione per i pensionati dell’SSJ [Servizio sociale ebraico] (vedi capitolo sugli EIF) e quello della via Guy Patin, diretto da Samuel e preso in carico alla fine degli anni ’50 dall’FSJU [Fondo sociale ebraico unificato]. 

[14] Lei stessa deportata ad Auchswitz a quattordici anni, si investe nel lavoro sociale al suo ritorno. Sposò un ex-OSE, Maurice Weksler, che intraprese degli studi di  medicina mentre abitavano alla Voûte. Vedi il suo itinerario nel I°cap. della 5ª parte.

   

[15] Rapporto sulle attività del 1946, relazione di Job sulle case dei bambini, p.6.

 

[16] Relazione di Job sulle case dei bambini,  nel rapporto sulle attività del 1946.

 

[17] Le cifre sono significative: vi erano 810 persone nel settembre del 1945; due anni dopo sono la metà, 487 nel luglio 1947 e 359 nel novembre dello stesso anno.

 

[18] Uno di loro ha ricordato per noi la gentilezza della famiglia che l’ha ospitato e soprattutto la raffinatezza e l’abbondanza degli alimenti volti a fargli acquistare peso; prese 7 kg con grande soddisfazione di tutti. Intervista con Henri Ostrowiescki, giugno 1995.

 

[19] Vedi la sua biografia nella prima parte, cap. 2 e il programma della scuola di Gournay nella formazione dei quadri, 5ª  parte, cap. 1.

 

[20] Intervista dell’aprile 1995.

 

 

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